Quando mio figlio Chris, che da 18 anni vive all’estero, è venuto a trovarci per le vacanze di Natale 2010, mi ha detto “Papà, perchè non scrivi le tue memorie, ora che sei libero, in pensione?”, io ho sorriso.
Gli ho risposto: “Che senso avrebbe scrivere un libro non professionale? A chi può interessare la vita di chi non ha primeggiato nello sport, nella professione, nella politica, di chi non è stato protagonista di un fatto importante, incisivo, tale comunque da sensibilizzare i media?”.
Ha insistito: “Fallo per noi, per i tuoi cari e i tuoi amici; forse le tue memorie interesseranno un pubblico più vasto di quanto pensi”. Era evidente la sua intenzione di dare uno scopo alla mia vita residua; di evitare una “crisi esistenziale” che poteva magari preludere ad una malattia. Il che capita spesso, purtroppo, a tutti i livelli sociali, quando si va in pensione.