Quando il ridondare della terminologia nota del tuo dialetto ti rende padrone della parola, e che con il tuo interlocutore ti dilunghi, se anche involontariamente in disquisizioni che altri, di altro dove non intendono, evidentemente hai un quid che puoi lasciare in eredità. Proprio la struttura dell’opera consente al lettore “ictu oculi” di possedere uno strumento che, con ilare originalità, permette di avere una certa padronanza di un vernacolo molto colorito e variegato, in quanto compendio di parole e suoni in un unico contesto. Per ovvie ragioni incompleto, molto antico, il vernacolo procidano è pregno di sfumature che “ex natura rerum” diletta il lettore anche se non nuovo ad esperienze linguistiche. Ci si ritrova di fronte a termini, detti proverbiali, aggettivi, aneddoti e altro che rapisce talvolta l’immaginario. Pur non essendo unico nel suo genere, ha forse la peculiarità di possedere una sfumatura scientifica: la denotazione della corrispettiva scritto-fonetica internazionale per singolo lemma. In un piccolo compendio si possono ricercare più sfumature eterogenee, quasi a soddisfare il desiderio di una conoscenza più profonda ed estesa, fatta di suoni tutti racchiusi nello spazio/tempo che echeggia, talvolta senza un significato reale, ma quasi sempre offre il senso reale dell’argomento.