Racconti minimalisti più che minimi. Un po’ Mr. Bean, un po’ Monsìcur Hulor di Tatì. Una manciata del pragmatismo di Prot, presunto extraterrestre di K-Pax, e un pizzico di ermetismo di Hipolito, del favoloso mondo di Amelie. Uno sguardo disincantato su una realtà elementare, così reale da diventare quasi surreale. Edoardo Salemo.
Non c’è miglior modo di testimoniare la banalità e la singolarità dell’esistenza che di preoccuparsi dell’infinitamente piccolo. L’occhio di Francesco Loriga, configurato come la lente di un microscopio, percepisce l’invisibile, l’inafferrabile, ciò che s’inserisce fra il sorriso e la smorfia. Queste informi frammentazioni sono captate con bravura dallo scrittore. Loriga restituisce i sentimenti con poche parole, non più del dovuto, quelle non pronunciate dai suoi personaggi, ma che riecheggiano fortemente nelle pagine asciutte fatte di silenzio e di atti mancati che sono la tessitura del suo scrivere. Guillaume Chpaltine