Il protagonista senza nome è un omino di fumo, la storia un incubo scuro come l’antracite. L’omino non sa capire se vive una giornata reale, se delira nella malattia, se galleggia nell’allucinazione etilica, se sogna deformità del suo passato e fantasmi del presente. Si riempie d’angoscia per quanto gli capita e per non saper capire, si produce in sforzi inani per venirne fuori e riesce solo a muoversi a vuoto in una scansione spaziotemporale onirica, artificiosa, ellittica tra una scuola nebbiosa in cui sembra essere docente e una casa ancor più nebbiosa in cui sembra abitare.
Il tutto nell’arco di una giornata, una sola, non diversa dalle altre. Una giornata qualsiasi che si riempie solo di fantasmi che gli corrono e ricorrono intorno ossessivamente: compagni di pena, colleghe avvenenti e inarrivabili, allievi a dir poco disattenti, genitori di alunni arroganti e protervi, donnine da immaginario malato, un preside tiranno e pazzoide, la sua corte dei miracoli, una scuola turrita come un castello medievale che potrebbe essere davvero la scuola italiana di oggi raccontata in un ennesimo libro - forse inutile - sullo sfascio di questa nobile istituzione.
L’insulsa storia della sua giornata è tutta qui. E non spaventa nessuno, ovviamente. Ci sarebbe da inorridire solo se il suo ruolo fosse per davvero quello dell’educatore. Ancor più raccapricciante sarebbe scoprire che la scuola di questo incubo assomiglia anche solo un po’ a quella della realtà, ma, per fortuna così non è, lo sanno anche i bambini. E questo racconto, allora, è solo il cupo, tragico, erotico e squinternato monologo inferiore (per dirla con il grande Flaiano) d’un omino senza qualità che si crede insegnante per un giorno.