“Blu solo” è un racconto di ricerca, un viaggio che si appropria del passato, per capire il presente e costruire un futuro migliore. È un vero viaggio, a cui il lettore partecipa anche fisicamente, seduto accanto alla narratrice, protagonista e autista. È un viaggio “alla ricerca dell’essenza delle cose” e, per compierlo, si deve necessariamente tornare alle radici, alla famiglia, alla propria terra, l’amata Calabria. È un viaggio religioso in senso globale: Dio apprezza le intenzioni, la ragione contrapposta alla fede, alla forza miracolosa della speranza. Aleggia su tutto un prepotente bisogno di libertà che si fa energia e si fa ricerca culturale: le letture del ’68, i testi sacri di quel periodo, la musica pop, la moda, il mito di Woodstock. L’amore si fa comunicazione, annulla il rancore, e la vita appare come un dono da cui scaturisce un benessere profondo e salvifico. Passa da una sofferta e faticosa relazione con se stessa all’accettazione critica e costruttiva dell’altro. La paura è vinta. L’amore diventa l’ultima forma di redenzione, riesce a trionfare sulla morte e si fa eternità. La voce della protagonista ci conduce in un mondo pieno di voci, in una dimensione sospesa tra il reale e l’onirico, in una sequenza in chiaro-scuro. Su tutte la figura del padre, l’uomo-guida, la radice prima, il conforto ultimo del racconto. Il padre, l’uomo in ascolto, tiene lo spazio e il tempo del racconto ed è dallo sciogliersi di questo legame fortissimo che la protagonista comprende quanto cerca.
Recensione di Stefania Salvadori