1853. Borgate montane di Faìs, Prealpi Venete. Il giovane e sempliciotto Bepino, sceso dal villaggio sino alla cittadina di Serravalle per vendere i prodotti della sua terra, scopre il corpo di un ricco conoscente assassinato. Additato ingiustamente come il responsabile dell’omicidio, impaurito, fugge in montagna, senza rivelare il suo nascondiglio nemmeno ai familiari. Il fratello maggiore Gustìn, dopo aver tentato invano di scagionarlo presso le autorità, decide di andarlo a cercare. Inizia così un incessante peregrinare fra i luoghi caratteristici della media montagna e la stessa cittadina di Serravalle. Viaggi che cominceranno in un assolato agosto, protraendosi fino alle prime nevi di novembre. Il riflessivo Gustìn, accompagnato spesso dal simpatico e fantasioso Marione, si imbatte, durante i suoi spostamenti a piedi, nei personaggi tipici della ruralità e della borghesia dell’ottocento veneto: dal malgaro all’uccellatore; dal burbero pievano al creditore israelita; dalla temeraria e procace amante al nostalgico reduce dell’esercito asburgico. Queste figure sono proprio la chiave della narrazione, e a ciascuna di esse (o a più d’una) è, in pratica, dedicato ogni capitolo. Infine, come linea d’unione nella vicenda narrata, Gustìn incontra sé stesso, con le angosce di una vita contadina difficile, il peso della responsabilità familiare e la tristezza dei suoi ricordi più drammatici. Ma il giovane uomo ritrova pure la speranza di un futuro migliore e rinnova la sua mai sopita voglia di apprendere. Il romanzo potrebbe definirsi, per taluni versi, “etnografico”, dove traspare l’incisività del particolare quotidiano della vita montana, sullo sfondo di un italico Risorgimento, quasi indifferente agli occhi degli ignari ed indaffarati villici.