Il Concilio Vaticano II è considerato il più rivoluzionario della storia della Chiesa. Per più di venti secoli la versione latina dei vangeli di Girolamo, così detta “Vulgata”, è stata scelta dalla Chiesa quale testo autentico ed ufficiale (Conc. Trid. IV sess. 8 aprile 1546, e Conc. Vat. I, Dei Filius, cap. II, 24 aprile 1870). I padri conciliari hanno avuto il coraggio di mettere in discussione i due predetti decreti disciplinari affermando che «per le traduzioni delle sacre scritture bisogna partire dai testi originali» e che «il magistero non è superiore alla parola di Dio ma la serve… l’ascolta… la custodisce… la espone» (DV 10-12). I padri conciliari hanno riconosciuto che la Vulgata, pur con tutti i suoi pregi, costituisce una chiave di lettura dell’esegeta Girolamo, non «il pensiero dell’agiografo e di ciò che Dio ha voluto trasmettere attraverso di esso». Il testo originale greco, tradotto e riletto alla luce di un diverso idioma, diversa cultura e diverse usanze, non sempre risponde al linguaggio ed al senso dato dall’agiografo e al messaggio dato dal Signore. Nel processo traduttivo intervengono facilmente elementi inquinanti quali: precognizioni di chi traduce, detti e parole del testo originale che non trovano riscontro nella nuova lingua, grammatica e sintassi differenti. La Vulgata non è esente da errori ed elementi inquinanti. Quanto hanno influito il carattere e i preconcetti di Girolamo sul processo traduttivo delle Sacre Scritture?