Il libro ha la forma di un saggio, in cui si rendono evidenti le numerose esternazioni sugli autori-protagonisti del discorso, ma anche varie riflessioni dei grandi opinionisti contemporanei sull’arte in genere. Tutta la riflessione del saggio parte da un breve studio sulla solitudine dell’uomo nelle società moderne, come elemento che si ricongiunge alle tragiche circostanze legate alla nascita di Mitoraj e la spasmodica ricerca di Calatrava su “dove” e “come” realizzare le sue ambiziose opere. Grazie alle fonti biografiche si è evidenziata una certa similitudine dei percorsi di vita di ambedue gli artisti: la voglia di essere ”cittadini del mondo”, di studiare all’estero, di compiere molti viaggi e ricerche personalizzate, la capacità di introdursi nell’immaginario globale non limitando, in nessun modo, la cerchia dei fruitori della loro arte, la fedeltà ai modelli antichi, influenza degli ultimi anni Sessanta sulle loro decisioni, il coraggio nel proporre le proprie originalità e trasgressioni. La cosa che unisce di più i nostri artisti e la loro richiesta di “compiere un Atto di Fede, come una condicio sine qua non, cioè un atto di affidamento all’artista, fino ad un punto estremo in cui un individuale ragionamento del fruitore incontra una tesi, apparentemente irrazionale, del creatore dell’opera”. Il pensiero di Mitoraj, alquanto trascendentale e la riservatezza nel comunicare la sua geniale creatività, pur nella rassegnazione, si incontra con la spregiudicatezza con la quale Calatrava tenta di impadronirsi del nostro sentire. Immaginavano i nostri autori fin dall’inizio, che la loro arte non sarebbe stata, comunque, facile da percepire?