Il romanzo, al di là del contenuto indubbiamente fantastico, sospeso tra sonno e veglia, offre spunti di carattere universale e assoluto, che si stagliano come luci catarifrangenti sopra la trama plumbea, resa già di per sé avvincente dal continuo fluire dinamico degli eventi. Ed è qui che la nostra attenzione si vuole soffermare: Il primo argomento emergente è la lotta, continua e insaziabile, tra le forze del bene e quelle del male. Esse si contrappongono in un unico corpo come lo Yin e Yang; un fluire di giorno e notte, cioè, che si fonde e, paradossalmente, confonde. Andare a carpire dove sia celato l’autentico bene, infine, è compito del nostro personale discernere.
Il secondo aspetto caratteristico è la natura, oserei dire, divina del personaggio principe: Farrok, creatura mitica, onnipotente e onnipresente, per ragioni del tutto veniali (la solitudine, la curiosità, l’amore…) sceglie di adoperare l’aspetto di uomo che, almeno inizialmente, detesta. Ci troviamo, quindi, dinnanzi ad un “ossimoro interiore” che pian piano sfocerà in un vero e proprio “duello per la sopravvivenza”. Scavando nei pensieri del Forstel, la natura umana, dapprima, viene descritta spietatamente, nella sua peggiore connotazione e si esagera a tal punto da enfatizzare siffatto decadimento finanche ad arrivare ad accostarla all’esistenza degna di un parassita o di un virus. Tale cruda oggettività lentamente si affievolisce nella comprensione del travaglio antropico e la visione del drago si affaccia in una nuova realtà: egli, sempre a disagio nel vestito umano (per carità!), inizia perlomeno a sopportare ed accettare l’imperfezione insita nell’entità mortale. L’amore verso l’altro, che in principio è visto quasi come una malattia da evitare, dalla quale fuggire a gambe levate, diventa una costante e un filo conduttore robusto nell’evolversi della vicenda personale. Le fascinose eroine si alternano sulla passerella dell’esistenza e Farrok, o Forstel, va ad annusare le sue elette col nuovo ritrovato entusiasmo, fino alla scelta culminante. È nel finale che tale consapevolezza è compiuta. Il drago perfetto abbraccia, nella totalità della propria essenza, l’umana natura senza più riserve o tentennamenti. Gli atroci errori commessi non bastano a rinnegare la gioia che la vita umana comporta: caduca e desolatamente incompiuta sì, ma appartenente a un essere che apre uno spiraglio di trascendentale, costantemente migliorabile e che può, in fine, “comprendere” (vedi Pirandello) la Perfezione per eccellenza: la mira come una visione divina e vicina, eppure, fatalmente, gli sfugge...
In questo destino dolceamaro si schiude un argomento appena appena accennato, e pur permeante: la visione di un dio ecumenico, che travalica le barriere del nostro Credo e bagna, come il maestoso fiume Aradon, tutto ciò che è fede e preghiera, che squarcia in due il Bene dal Male. Non ha rilevanza, a questo punto, la lingua, la forma o l’involucro; non importa come viene superbamente chiamato: Egli è (esiste) per tutti, indifferentemente da chi lo invoca. È la nostra prospettiva, casomai, ad essere limitata e, a seconda di dove siamo posizionati, varia vedendo in Lui un insegnamento o una missione diversa. Ma se ci sforzassimo di spostare lo sguardo altrove, noteremmo con stupore che l’amore che noi diamo e, soprattutto, che riceviamo è sempre lo stesso: un Amore immenso, dischiuso dalle Sue grandi braccia!