500 anni dopo aggiornarono i piani e rividero gli apprui e gli appoppi, cercando nuove rigidità di estrusi profilati, leghe, compositi scorrimenti, laminari, buchi si stazza, geometrie di formule; ricalcolando baricentri e metacentri, angoli di sbando, punti di spinta, rette d’altezza; rubando decimi ai secondi, centesimi ai decimi, per prima assuccare e mettere in chiaro meglio, sbrogliar vele, abbisciar cime, recuperare, imbandì, irrigidir velami sostituire lini e olone e cordami e cavigliere con leggero bozzellame, come l’aria, come l’acciaio duro; da non temere refoli e rinforzi di venti dominanti, scarrocci, tendenze, correnti, derive, pressioni e depressioni vicine e lontane, di terra brezze e di mare, tendendo drizze, cordami e scottame; come corde di strumento che al vento vibrassero suonando marce di trionfo, triangolando il suono tra scassa di deriva, losche costolature, dritti di prua, di chiglia, specchi di poppa e ordinate nascoste tra moderne rigidità, dove nuove parole ripropongono canti, lamenti e stridori del cuore di querce lontane su vecchie caracche e caravelle; per tornare 500 anni dopo a ritrovare terra e navigarla tra le stelle e le strisce.