Un padre e un figlio, accomunati, a distanza di una generazione, dalla condizione di trovarsi su un fronte di guerra, ci rimandano, attraverso la scrittura, il loro stato d’animo. Nel primo caso, la scarna documentazione dal fronte immobile della Grande Guerra, ci mostra un giovane uomo il cui pensiero dominante è l’ansia per i suoi familiari e la struggente nostalgia della giovane sposa. Visibilmente minimizza le sue sofferenze, la guerra sembra quasi solo un’eco lontana. Colpisce l’inalienabile fede nella Provvidenza e la totale assenza di domande, la naturale disponibilità ad essere strumento, non pensante, di disegni altrui, accettati con totale rassegnazione. Assai diverso appare lo stato d’animo con cui, vent’anni dopo, il figlio, poco più che adolescente, affronta l’esperienza bellica; a cui lo ha chiaramente spinto una retorica guerrafondaia, di cui il giovane sperimenterà, di lì a poco, nella dolorosa esperienza della sconfitta e della prigionia, tutta la fallacia. Le pagine, ingenue, ma sentite, e piene di un sincero “amor di Patria”, hanno rivelato ai suoi stessi familiari, post-mortem, l’immagine, per essi inedita, di un uomo che, dopo quella fase in qualche modo “epica”, della sua vita giovanile, l’aveva gelosamente racchiusa nella sua memoria e, da allora in poi, avesse quasi rinunciato a vivere.