Nel romanzo “Il Borgomastro”, l’autore si preoccupa di generare riflessioni su fatti connessi all’esistenza, talvolta fin troppo “dura”. Il racconto, a dir poco avvincente, tratta vicende ed aneddoti legati alla vita di un Borgomastro: una vita in cui, dunque, ciascun lettore non farà, di certo, fatica a riconoscersi. Quel che colpisce in particolar modo sono i “poteri” esercitati dal Borgomastro, paragonati “ai colori della Mariposa… Soprattutto quando quest’ultimo, con sorrisi smaglianti, esprime un’ilarità pseudo-benevola…” e che, invero, gli è utile a “soppesare gli interlocutori, per individuare i loro punti deboli…” e, in buona sostanza “per poterli colpire al momento opportuno…”. L’intensità dei colori della farfalla, in effetti, è paragonata alle innumerevoli sfaccettature che caratterizzano il potere del Borgomastro ma, ad onore del vero, il potere di ognuno: un potere con il quale non si fa altro che “cambiare il destino altrui…” ma, prima ancora, il proprio. Il grigiore marcato dell’elefante, di contro, non può che ricordare l’umiltà dei meno abbienti e la tristezza che sono costretti a subire ogni giorno, “in una lotta impari…”. Una vita – la loro – ricca solamente di povertà ed in cui non possono far altro che affidarsi alla preghiera, confidando nella benedizione del Signore, affinché gli doni almeno la speranza di poter divenire, un giorno, “uomini liberi… Persone dignitose e rispettate...”, come, del resto, si conviene ad ogni essere umano.